Come tutelare mio figlio dalle insidie dei social?
ELENA MAZZIERI • 25 gennaio 2021
Qualche consiglio per i genitori ai tempi dei social

I recenti fatti di cronaca ci spingono a fare una riflessione rispetto all'uso che i nostri figli fanno dei social.
Soprattutto ci spingono a chiederci come i genitori
si dovrebbero comportare rispetto a questo argomento.
Mi sto riferendo alla morte di una bambina si soli 10 anni in seguito ad una "challenge" di TikTok.
Una notizia sconvolgente, che ha spinto genitori ed esperti ad interrogarsi su come tutelare i giovani rispetto a social che, in fondo in fondo, per noi adulti sono quasi incomprensibili.
Per prima cosa occorre comprendere che, ahimè, nessuno di noi è immune agli effetti negativi dei social. Nessun genitore e nessun esperto può ergersi a paladino del "i miei figli questo non lo fanno".
Per quanto ci farebbe piacere e ci tranquillizzerebbe, devo darvi una brutta notizia: può succedere a chiunque.
Il che non significa essere cattivi genitori o pessimi educatori. Non implica che non siamo stati in grado di crescere bravi bambini.
Mi vengono in mente i commenti letti in seguito alla notizia dell'obbligatorietà dei dispositivi anti-abbandono sui seggiolini auto per i bambini. Sarebbe bellissimo poterci crogiolare nel pensiero del "a me non succederà mai", ma dobbiamo fare i conti con una società che cambia, con dei ritmi di vita che non sono più quelli dei nostri genitori. E in questa frenesia può succedere a chiunque di essere più stanchi del solito, più in ritardo del solito, più distratti del solito. E allora ben vengano prodotti e tecnologie che ci aiutino e tutelino i nostri piccoli.
Lo stesso ragionamento si può fare rispetto ai social.
Vietarne l'uso ai ragazzi significa privarli di una parte di sé, di una opportunità di sviluppo e crescita personale, di un modo per interagire con i pari che noi proprio non riusciamo a capire.
Lavoro da anni nell'ambito dei servizi educativi, e con i colleghi ci siamo dovuti piegare alle challenge di TikTok, sebbene, lo devo ammettere, da adulta faccio fatica a capirne il senso.
Cerchiamo di capire di cosa si tratta.
Qualcuno fa un balletto e sfida gli altri a rifarlo. Semplice così. Ci si riprende con il telefono, si monta il video
con qualche effetto speciale che la app fornisce e si pubblica con i famigerati "hashtag", un modo per rendere facilmente raggiungibile per tutti quell'argomento o quel tipo di video.
Parte poi la gara dei "like". Nel villaggio globale, il like non è più solo quello dei nostri amici o conoscenti. Anche l'influencer che ha lanciato la sfida può mettere il like. Cosa di cui vantarsi con gli amici!
Dietro il piccolo schermo dello smartphone, i ragazzi nascondono sogni, amori, amicizie, identità... insomma: l'adolescenza.
In un periodo storico in cui uscire di casa è spesso sconsigliato, le esperienze di vita si fanno online. Il che implica anche commettere errori.
Vi ricordate quando si impennava con il motorino? Ecco, ora dobbiamo immaginare che si fanno altre "ragazzate", e spesso queste sono online. Il che non significa che siano meno pericolose, anzi...
Che fare quindi?
Per prima cosa, lo ripeto, il mio consiglio è quello di non vietare i social. In fondo, un modo per impennare lo trovavamo lo stesso, anche se noi non avevamo il motorino. Con i social ora è ancora più semplice raggirare i divieti dei genitori. Senza contare che in adolescenza, tutto ciò che è proibito è ancora più attraente, soprattutto se tutti gli amici ce l'hanno e noi no. Forse è meglio insegnare loro ad usare internet in modo corretto
piuttosto che tagliare fuori i ragazzi da una parte fondamentale della socializzazione moderna.
Dobbiamo tenere in considerazione che la vita dei nostri figli si svolge in parte online. Che cosa significa?
Vi ricordate l'interrogatorio dei genitori quando uscivamo di casa? "Dove vai? Con chi? Chi sono i genitori? Cosa fate? ecc..." Bhe, perché non proviamo a chiedere ai ragazzi cosa fanno online?
Come mentivamo noi allora potrebbero mentire i ragazzi ora, ma sapranno, come lo sapevamo noi, che i genitori ci sono e che tengono in considerazione i nostri spazi e momenti fuori dal nucleo familiare.
Controllare i telefoni? Il consiglio che vi do è quello di parlare
con i figli, soprattutto durante i primi approcci con il mondo di internet e dei social. Spieghiamo loro i pericoli che potrebbero esserci, e che mamma e papà sono sempre pronti ad ascoltarli ed intervenire in ogni momento senza giudicarli. Cerchiamo di entrare nei loro spazi privati senza però invaderli. Chiediamo di condividere
insieme dei momenti, magari anche qualche challenge di TikTok.
Come accennavo poco fa, lavorando nei servizi educativi ci siamo dovuti piegare a questi balletti. I bambini ce lo chiedevano e noi, o per lo meno io, non avevo idea di cosa parlassero. Allora ci siamo seduti e abbiamo esplorato il social insieme. Oltre ad aver imparato molte cose nuove (chi lo sapeva che esistessero così tanti filtri per fare un video di soli 10 secondi?), i bambini sono stati contenti e insieme abbiamo avuto l'occasione di parlare dei pericoli che nasconde la rete.
A dire la verità, ci divertiamo un mondo a fare questi video insieme. E' diventato un momento di condivisione. Insieme scegliamo la sfida del momento, facciamo le prove, registriamo e poi ci riguardiamo più volte ridendo dei nostri successi e insuccessi da ballerini.
Perché non farlo anche in famiglia? Cedere a questi balletti non è il massimo, ma è sicuramente un modo per stare con i nostri figli e condividere il loro mondo. Anche un modo per controllare un po' quello che fanno, ma questo non glielo diciamo espressamente.
Un altro consiglio che posso darvi è quello di tenervi aggiornati.
Facebook, Instagram, TikTok, non possono essere degli estranei per noi. Possono non piacerci, ma dobbiamo conoscerli. Solo così possiamo entrare in contatto con i figli e magari capire quali pericoli si possono nascondere dietro i social. Oltre alle opportunità. Perché i social non sono soltanto un mostro da demonizzare. Sono anche una opportunità di crescita e di contatto, occorre imparare ad usarli bene. E come posso io, bambino, imparare ad usare bene un qualcosa che i miei genitori non sanno cosa sia?
Come posso guidare qualcuno in una nuova città se io non conosco le strade? Internet ed i social funzionano un po' allo stesso modo. Per insegnare ai nostri figli a difendersi dalle insidie della rete, dobbiamo fare lo sforzo di conoscerle.
Attenzione però.
Non sto dicendo di aprire profili social e pubblicare di tutto e di più. Soprattutto quando i ragazzi iniziano a diventare grandi, evitiamo di pubblicare foto che li riguardano senza chiedere loro il permesso. Per quanto siamo genitori fieri ed orgogliosi dei nostri figli, il post selvaggio è simile all' "amore di mamma" gridato davanti agli amici il giorno del nostro sedicesimo compleanno. L'unica differenza è che il post resta online, un imbarazzo continuo. L'"amore di mamma" gridato, dopo un po', viene dimenticato.
Infine, dobbiamo metterci il cuore in pace. Per quanto non ci piaccia, parte della vita dei nostri figli ci resterà sconosciuta. Per crescere hanno bisogno di sperimentare cose nuove lontano dai genitori. E noi dobbiamo gestire la frustrazione e l'ansia di un qualcosa che non possiamo conoscere né controllare.
Il compito di noi genitori è quello di esserci, sempre. Con la nostra vicinanza e la nostra presenza, anche quella online, forniamo ai figli gli strumenti per crescere ed affrontare il mondo da soli. Non sempre possiamo proteggerli e non sempre possiamo avere voce in capitolo rispetto a come useranno queste armi. Il che è tremendo per noi, ma è il bello di crescere.
Cerchiamo di ricordare come eravamo noi da ragazzi, quello che abbiamo fatto nel bene e nel male. Cerchiamo di tutelare i figli al meglio che possiamo, facendo parte della loro vita senza soffocarli. Facciamo sentire la nostra presenza, saranno poi loro a cercarci.
Ricordate, genitori, che state facendo il meglio che potete.
Dott.ssa Elena Mazzieri

Sono le due di notte . Siete tranquilli nel vostro letto e state dormendo ormai da un po’. Siete in un bel sonno profondo, quando all’improvviso vi svegliate di soprassalto , con il cuore che batte a mille, il fiato corto, un sudore freddo che scivola lungo la schiena e la convinzione che ci sia qualcosa che non vada. Che sia un infarto? Un ictus? Una qualunque altra malattia? Mentre mille dubbi vi attanagliano la mente, questa sensazione orribile sembra non passare, anzi… Vi sentite sempre peggio e cresce in voi il dubbio che forse state per morire . O impazzire . Bhe, comunque la mettiate, la situazione è tremenda. E pensare che fino a pochi minuti prima stavate dormendo beati! Non sto parlando di un film dell’orrore, anche se la paura forse è anche più intensa. Quello che ho provato a descrivere molto brevemente è l’ attacco di panico notturno . Si tratta di una forma panico intenso e terribile, perché avviene quando ci sentiamo indifesi ed incapaci di reagire : durante il sonno appunto. Solitamente accadono tra l’1.30 e le 3 di notte, nel passaggio dal sonno più leggero ( non-REM ) a quello più profondo (REM). I sintomi più comuni sono tachicardia ed irregolarità del battito cardiaco, difficoltà a respirare , tremori e vampate di calore o brividi di freddo . Si ha una costante paura di morire , al punto da arrivare a temere gli stati di rilassamento ed il sonno stesso. Come posso io pensare di dormire se, quando lo faccio, potrei non svegliarmi più? Allora iniziamo a lottare con il letto e con la notte, monitorando attentamente ogni minimo segnale che viene dal nostro corpo. Tutta la nostra attenzione è diretta verso il nostro corpo . Il cuore sta battendo troppo forte? Il respiro è affannoso? Nell’estremo tentativo di tenere sotto controllo il nostro corpo, questo finisce con il rispondere esattamente con i segnali che stiamo disperatamente cercando di evitare. Controllando ossessivamente il battito cardiaco nella speranza che le pulsazioni non salgano, non facciamo altro che aumentare la nostra preoccupazione. La conseguenza di tutto questo, ahimè, saranno proprio quei battiti più frequenti ed il respiro corto. Gli attacchi di panico avvengono solitamente quando le persone provano sensazioni sulle quali credono di non avere controllo . Queste sensazioni vengono interpretate come minacciose scatenando, di conseguenza, l’ ansia . Peccato però che l’ansia stessa produca quelle sensazioni corporee che poi interpretiamo come minacciose. Ecco qua che si attiva un circolo vizioso da cui sembra difficile uscire. A maggior ragione, la paura della paura diventa più forte se a scatenare i sintomi è il sonno, uno stato sul quale non abbiamo proprio alcun controllo. Non c’è da stupirsi se gli attacchi di panico notturni causano insonnia o deprivazione del sonno. Se l’ultima volta che ho perso il controllo (dormendo) mi sono svegliato con la sensazione di stare per morire, come faccio ad addormentarmi di nuovo? Si arriva a temere ogni stato di rilassamento, ogni stato in cui non riusciamo a prestare attenzione agli stimoli circostanti potenzialmente pericolosi. Essere sempre vigili e attivi significa essere pronti e preparati rispetto ad ogni possibile minaccia. Studi hanno dimostrato che chi soffre di attacchi di panico notturno si sente incapace di reagire di fronte a situazioni di minaccia inaspettate (Smith et al., 2019). In altre parole, non ci si può permettere di mollare la presa, perché se ci rilassiamo bhe… la catastrofe è imminente, e noi non siamo in grado di reagire. Se poi riusciamo ad addormentarci, siamo ipersensibili ad ogni minimo rumore o fastidio interno ed esterno. Ci si sveglia nel cuore della notte, proprio in quell’orario in cui, solitamente, avvengono gli attacchi di panico notturni. A tutto questo si accompagna una difficoltà nel trovare una causa scatenante . In fondo non stavamo pensando a niente di particolare, o se lo stavamo facendo proprio non riusciamo a ricordarlo. Stavamo solo dormendo. Questa incapacità di trovare il trigger, rende l’attacco di panico notturno ancora più spaventoso proprio perché imprevedibile. Potrebbe risuccedere in ogni momento e noi, persi tra le braccia di Morfeo, saremmo nuovamente impreparati e incapaci di reagire. Occorre distinguere tra il pavor nocturnus e gli attacchi di panico notturni . Il primo, molto frequente nei bambini, si verifica nella fase di sonno REM, a differenza degli attacchi di panico che avvengono nella fase non rem. Sebbene spesso le sensazioni sono simili (ansia, tachicardia, sudorazione e respiro corto), il pavor è legato ad un incubo, per cui una volta diventati consapevoli che si trattava solo di un brutto sogno, ci si riaddormenta. Questo non accade nell’attacco di panico, in cui non c’è un ricordo di un sogno e non si riesce mai a ritrovare il sonno. La mancanza di sonno, la difficoltà a rilassarsi ed il costante stato di allerta porta la persona a sentirsi sfinita, con conseguenze rispetto al funzionamento sociale e lavorativo. Purtroppo l’attacco di panico notturno non è così infrequente come si potrebbe pensare. Il 50-70% delle persone che soffre di attacco di panico sperimenta, almeno una volta, un attacco di panico notturno. Una buona notizia però: sono curabili. La psicoterapia Cognitivo-Comportamentale è il trattamento di prima scelta per il disturbo di panico e aiuta le persone a comprendere e gestire gli attacchi di panico. La maggior parte delle persone che segue un trattamento individualizzato ottiene risultati positivi e a lungo termine. Il che non significa che non avremo più attacchi di panico. Che siano notturni o diurni, gli attacchi di panico sono un po’ come il raffreddore: prima o poi lo avremo tutti. La differenza la fa un po’ la biologia ed un po’ le esperienze di vita. Ci sono persone che ai primi freddi iniziano ad avere a che fare con fazzoletti, naso che cola e fumenti, mentre altri possono uscire d’inverno senza sciarpa e non starnutire nemmeno una volta. Se poi lavoriamo all’aperto abbiamo più possibilità di incappare in una giornata piovosa e, quindi, di raffreddarci rispetto a chi lavora al chiuso. Una cosa è certa: nessuno è immune al raffreddore. Abbiamo solo imparato a gestirlo. Se siamo cagionevoli, cerchiamo di non uscire mai senza cappello o sciarpa, sappiamo riconoscere i primi sintomi e sappiamo intervenire con la cura più adatta a noi in caso di influenza. Con il panico funziona un po’ allo stesso modo. Grazie alla psicoterapia si impara a riconoscere e modificare gli stili di pensiero disfunzionali ed i comportamenti maladattivi che mantengono il disagio . Inoltre si apprendono tecniche per gestire e ridurre i sintomi dell’ansia . Insieme con il terapeuta la persona troverà la strategia più adatta a lui per superare gli attacchi di panico notturni e tornare a riposare. Dott.ssa Elena Mazzieri Smith, N. S., Albanese, B. J., Schmidt, N. B., & Capron, D. W. (2019). Intolerance of uncertainty and responsibility for harm predict nocturnal panic attacks. Psychiatry Research 273, 82-88.

La sofferenza è uno dei motori principali che spingono le persone ad intraprendere un percorso di psicoterapia . Molto spesso quel dolore che proviamo diventa per noi così spaventoso che ci attiviamo prima ancora di sentirlo. Facciamo di tutto per sbarazzarcene . E non mi riferisco soltanto a comportamenti disadattivi come l’uso eccesivo di alcool o sostanze. Mi riferisco soprattutto a quei piccoli gesti che facciamo quotidianamente senza neanche accorgercene al solo scopo di non sentire quel dolore. Ci teniamo occupati con ogni genere di attività, parliamo con amici, parenti e fidanzati, rimuginiamo, razionalizziamo, pensiamo, facciamo di tutto pur di non stare nella sofferenza. Ciò che ci accomuna è proprio la sofferenza, una qualità tipicamente umana che pensiamo di aver accettato, ma che in realtà ci barcameniamo in tutti i modi per non sentire. Siamo così terrorizzati di fronte alla possibilità di provare il dolore che al primo campanello di allarme ci mobilitiamo per non sentire nulla. Siamo alla ricerca costante di un anestetico, di un antidoto al nostro dolore, come se stare male fosse qualcosa di inaccettabile. Altro che super-uomo. Dobbiamo sempre e soltanto essere al top, non accettando neanche la minima possibilità di essere meno rispetto al 100%. Cosa ci sarà poi di così orribile in quel 90% o, peggio ancora, 50%? Ora vi devo dare una cattiva notizia. Purtroppo in quella sofferenza dobbiamo starci . Ebbene sì… per affrontare un cambiamento , per poter evolvere, occorre davvero accettare la nostra sofferenza, non soltanto far finta. Perché ci crogioliamo nella illusione di aver accettato il nostro dolore, e di aver trovato la spinta per andare avanti. Ma la chiacchierata con l’amico o il collega, in realtà, non significa aver accettato la sofferenza. Aver corso per 10 kilometri allo scopo di scaricare lo stress, non significa aver conosciuto il nostro dolore. Arrancare alla ricerca di una cura che, per magia, ci faccia stare meglio in poco tempo, altro non è che una fuga estrema al nostro star male. Per accettare davvero il dolore, purtroppo, dobbiamo viverlo . Certo, stare male non è bello, tutt’altro. Stare seduti sul vuoto, accogliere quel dolore, quella sofferenza, è una delle cose più spaventose che ci possa accadere. Ma siamo davvero sicuri di non riuscire a gestirlo? Possiamo davvero superare le nostre paure senza davvero affrontarle? Prima di rifuggire dal dolore, è necessario accoglierlo a braccia aperte, comprenderlo, capire da dove viene e stare lì, seduti sul divano con quella sofferenza che ci spaventa così tanto. Soltanto comprendendo cosa ci fa stare male, accettando davvero (e non per finta) quella sofferenza, possiamo trovare le forze per rialzarci e riaffrontare il mondo con nuove risorse. Ascoltiamo quello che le nostre emozioni ci vogliono dire, non temiamole. Accettiamo la tristezza. Accettiamo la sconfitta. Accettiamo il fallimento. Accettiamo la perdita. Accettiamo l’ansia. Accettiamo la paura. Accettiamo tutto ciò che ci fa stare male. Scottiamoci, soffriamo, preoccupiamoci. Facciamo tesoro di questi insegnamenti. E poi rialziamoci. Dott.ssa Elena Mazzieri